Quella notte a Cuba

di Popins

 

C’era(vamo) una volta, Sara e io…
Ci siamo incontrate sui banchi di scuola e abbiamo fatto in un attimo a diventare anime gemelle. Siamo diventate donne insieme, scambiandoci complimenti rassicuranti, facendoci domande stravaganti e condividendo le prime esperienze sessuali curiose. Poi lei ha incontrato l’Amore ed è diventata mamma a vent’anni. Non avendo nessun desiderio di maternità, ho proseguito da sola la mia esplorazione dei maschi e dei loro corpi, sacrificando il romanticismo nel nome di una sessualità disinibita e feroce, con l’intento di capitalizzare ogni esperienza e conquista nell’attesa del principe azzurro. Alla fine non era un principe, ma solo un uomo. Ma è riuscito a conquistarmi, tanto da farmi consacrare solo a lui tutta questa lussuria.

«E così si sposarono ed ebbero tanti figli». Una volta scritto il più classico dei finali e assicurato il futuro della specie, una certa forma di lassismo si insinuò insidiosamente in me. La gioia erano gli scarabocchi di mia figlia e i video buffi su youtube. La soddisfazione, il cesto della biancheria vuoto e il frigorifero ben riempito.

L’eterna adolescente che sonnecchiava in me iniziò a dare la colpa a Perrault e ai fratelli Grimm per averci inculcato l’idea che questo lieto fine potesse essere sufficiente alle principesse. Sotto sotto era meglio essere la strega.

Sara, che era entrata in questo pantano ben prima di me, aveva già rivisto le sue idee romantiche e si era prodigata per riscrivere il finale della sua storia. Era da un po’ che era diventata una moglie infedele. Sara cercava negli altri uomini quella scintilla che l’amore per il marito, pur essendo uomo amorevole e attento, ormai non le dava più. E le riusciva bene, era sempre raggiante e di buon umore. Io, invece, non ne avevo il coraggio, prigioniera com’ero della mia morale.

Fu con questi pensieri in testa che decidemmo di concederci un viaggio tra amiche e andare a Cuba. Lontano dalla quotidianità, speravo di poter dare ascolto ai miei demoni. Ero sicura che la distanza e l’esotismo della situazione potessero aiutarmi a disfarmi da queste catene pesanti e “ben pensanti”.

Cuba sa come accogliere i turisti. I controllori alla frontiera sono per la maggior parte, se non tutti, delle controllore, vestite con uniformi ultra sexy, giacchette dal taglio militare color kaki, gonne indecentemente corte e calze a rete. Questa moltitudine di gambe inguainate ci fece capire con certezza che avevamo scelto il posto giusto. Lasciammo L’Avana l’indomani, su un taxi collettivo alla volta di Trinidad, un villaggio colorato a sud dell’Isola. Arrivammo verso sera. Prima tappa la “Casa de la musica”, per la nostra prima vera serata cubana.

Si trattava di un locale a cielo aperto dove turisti e locali si mescolano gioiosamente sulle note della salsa. Io sono più un tipo da musica rock, ma ammetto che non ero insensibile alla sensualità scatenata da questo tipo di danza. La vista di questi corpi ondeggianti con grazia al suono dei bonghi mi eccitava. Bevevamo mojito con una punta di angostura e l’ebbrezza crescente mi faceva sentire febbrile. Fu allora che qualcuno mi invitò a ballare. Non mi feci pregare, non potevo rifiutare un invito di un uomo così bello. Di colpo, i nostri corpi erano incollati l’uno contro l’altro, e non ci volle molto perché anche i nostri bacini premuti si risvegliassero. Lui si chiamava Luis e aveva trascorso 6 mesi a Parigi a insegnare la salsa. Che fortuna! Io non sapevo dove mettere i piedi. Mi sentivo a disagio e guardavo continuamente in terra. Luis mi sollevò delicatamente il mento con le mani per farmi alzare la testa.

Per seguire il mio ritmo, guardami negli occhi e lasciati guidare. Mi suggerì.

Ed effettivamente funzionò. A poco a poco, con gli occhi negli occhi, i nostri movimenti si armonizzarono. Sentire il suo corpo muscoloso contro il mio era delizioso. Il mio bacino intrappolato dal suo in un incastro squisito. La profondità del suo sguardo mi faceva girare la testa. Il suo respiro era una carezza rovente contro la guancia. E quell’erezione nascente che sentivo far tendere i suoi pantaloni di lino mi fece bagnare. Il mio respiro si fece corto. Lo volevo. Lo percepì dal mio sguardo, sempre puntato nel suo. Appoggiò le sue labbra sulle mie e ci scambiammo un bacio lungo. Lo sentì diventare sempre più duro. Mi baciò sul collo, la sua lingua che scorreva sulla pelle seguendo il ritmo dei nostri passi. Lo strinsi più forte premendogli i seni sul torace. I nostri respiri si fecero ansimanti in risposta a queste reciproche carezze. Ballammo per tutta la notte fino alla chiusura del locale, imbrigliando nella danza l’eccitazione crescente.

Mi propose di andare con lui ad Ancon. Vidi Sara in buona compagnia e ci accordammo di ritrovarci l’indomani alla Casa Particular dove alloggiavamo.

Fu nella carrozza che ci portò alla spiaggia che abbandonai il ruolo di principessa. Seduti sul sedile posteriore della Chevrolet, Luis mi mise una mano dietro la nuca e iniziò a baciarmi con ferocia. Con l’altra mano mi accarezzava le gambe, le dita che scivolavano tra una coscia e l’altra fino a trovare il clitoride attraverso il pizzo delle mutandine. Piena di desiderio, gli infilai una mano nei pantaloni alla ricerca del suo pene rigonfio. Trovarlo così duro mi accese ancora di più. Feci scivolare le dita lungo la pelle liscia e sottile, percorrendola dal glande ai testicoli in carezze sempre più vigorose. Sentimmo l’automobile fermarsi e fummo costretti a interrompere la nostra reciproca esplorazione.

La spiaggia era deserta, il cielo una distesa di stelle sulle nostre teste. Il mare calmo dei Caraibi si apriva di fronte a noi invitandoci ad abbandonare i vestiti sulla spiaggia per tuffarci nelle sue acque trasparenti. Luis mi prese per la vita ricominciando a baciarmi. Le sue mani scorrevano sulla mia pelle nuda, prima sulla vita, poi lungo le spalle, fino ad arrestarsi sul petto. Mi prese i seni con le mani, il pollice e l’indice che accarezzavano i miei capezzoli duri in movimenti rotatori. Il suo sesso rigonfio strusciava contro la mia vulva stimolandomi il clitoride. Le mie mani si serrarono sulle sue natiche, le mie unghie affondarono nella sulla pelle. Sollevai i talloni e il suo pene scivolò nella mia intimità ardente. Ricominciammo la nostra salsa, lui dentro di me, il rumore dei nostri ansiti mescolati a quello delle onde erano la musica su cui stavamo ballando. I nostri respiri si fecero sempre più corti e il movimento dei reni sempre più rapido. Sentimmo dei rumori provenire dalla spiaggia e fummo costretti a interrompere la danza. Decidemmo di tornare sulla sabbia. Nascosti da una palma, presi in bocca il suo sesso salato. Inizia a succhiarlo dolcemente, i miei occhi puntati su di lui, per adattare ritmo e profondità degli affondi all’intensità dei suoi mugolii. Venne con un grido.

Perdonami, mi disse ansimando, ma era troppo bello. Si sentiva in colpa per essersi lasciato andare.

Mi stesi al suo fianco. Con un movimento improvviso, Luis si abbassò ad aprirmi le cosce. Con la testa affondata tra le mie gambe iniziò a leccarmi il clitoride. I movimenti circolari della lingua si alternavano a piccoli morsi delicati. Infilò un dito, poi due, poi tre nella mia figa fradicia. Il mio bacino che si tendeva e ritraeva al ritmo dei suoi affondi. Venni in fretta, sovraeccitata da come la sua lingua e le sue dita esploravano il mio intimo come fosse un territorio vergine. Ansimavo. Lui mi prese tra le braccia senza smettere di accarezzarmi con dolcezza.

Quanti anni hai Luis? Gli domandai, conscia di quanto fosse giovane.
Ha importanza? Rispose

Scoppiai in una risata, eccitata ma anche un po’ imbarazzata per l’evidente differenza di età.

No, non ne ha, dissi prima di ricominciare a baciarlo.

Le nostre lingue danzanti riaccesero presto l’eccitazione. Mi misi a cavalcioni su di lui per guardarlo negli occhi. Volevo sentirlo dentro di me. Mi girai a quattro zampe, le gambe ben divaricate a offrirgli la vista della mia figa gocciolante. Mi penetrò con vigore. Sentì tutta la sua forza in quei colpi di reni, come per entrare sempre più in profondità dentro di me. Le sue palle mi sbattevano contro le natiche. Venimmo insieme con un grido.

Passammo tutta la notte ad assaggiare le diverse delizie del piacere carnale. Lui dilettandosi di tutta l’esperienza che avevo acquisito con gli anni; io gustandomi l’ardore della sua gioventù condito da quella punta di proibito.

Alle prime luci dell’alba, Sara mi accolse alla Casa Particular.

Allora? Com’è stata questa prima volta? Mi domandò curiosa.

Mi misi a ridere. Era vero, era la mia prima volta. La prima volta che tradivo mio marito. Ci furono altre prime volte a Cuba. La prima volta in uno stadio. La prima volta sul sedile posteriore di una Mercury del 1952.

Al mio ritorno, mio marito mi trovò cambiata. Frizzante, felice, soddisfatta. Diceva che ero tornata ad essere la donna di cui si era innamorato e che qualsiasi cosa avessi trovato in questo viaggio sicuramente non dovevo lasciarla andare. Gli obbedì. Da allora mi sono iscritta a un corso di salsa e ho aperto con Sara un account su Gleeden.

C’era(vamo) una volta, Sara e io, mogli infedeli…

 

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